“Talvolta colui che appare debole è colui che ha dovuto essere forte troppo a lungo.” cit.
Sono Marco, ho 33 anni.
Ringrazio dal profondo del cuore chi mi ha permesso di avere questo spazio web, e che mi ha dato le energie e gli stimoli per compiere il passo di espormi, e raccontarmi, sebbene con un po’ di difficoltà e da una situazione e un punto di vista poco privilegiato
Per chi non mi conosce, o solo in parte, scrivo una introduzione.
Sono nato e cresciuto in Lombardia, in Valchiavenna, tra le montagne, che ho tanto amato.
Qui ho scelto di frequentare il Liceo scientifico e, finchè ho potuto, ho goduto di tutti gli sport che potevo incontrare. Sci, arrampicata, trekking, pallavolo, mountain bike…
In particolare il mio amore era per il calcio, con il quale avevo una espressione completa di me stesso.
Ho giocato a calcio nel S.Cassiano, poi nel Samolaco, poi nel Mese, finchè, a 16 anni ho dovuto interrompere quello che era l’amore di una vita, quello per il pallone, con 22 persone in campo che si sfidano, tra collaborazione, impegno, sacrificio, creatività, arte ed una grande affinità tra i compagni di squadra. Ricordo ancora benissimo le estati dell’epoca dove giocavamo a calcio al mattino, al pomeriggio, alla sera. Il mio ruolo in squadra era quello di ala destra.
A 18 anni mi sono trasferito a Pavia, dove ho studiato
Psicologia, ed ho conseguito la laurea bachelor. Qui ho scelto ed avuto la fortuna di vivere per diversi anni in un collegio Salesiano, dove ho imparato a convivere e a godere della bellezza di stare in 100 persone sotto lo stesso tetto, condividendo la mensa, le storie, gli studi, le uscite, le riflessioni, le risate, gli obiettivi, le amicizie.
Vorrei elencare i tanti giovani che animavano le mie giornate in collegio, ma sarebbero troppi. Forse una foto di un nostro incontro può rendere un pò l’idea 🙂
Negli stessi anni conclusi un corso di operatore massaggio Shiatsu, con il quale iniziai a praticare su amici, parenti e conoscenti.
Successivamente mi trasferii a Lugano, in Svizzera, dove cercavo qualità didattica e formativa, e laurearmi in Fisioterapia, completando gli studi universitari.
Sono stato guidato dall’interesse e dalla ricerca di comprendere il funzionamento della mente, del corpo, delle emozioni nell’essere umano e dalle reciproche interazioni che ci sono tra loro, nella vita di tutti i giorni, in ogni esperienza che viviamo.
La ricerca è stata, oltre che accademica, anche molto personale. A distanza di anni, potrei dire, soprattutto personale.
Un buon operatore sanitario e consulente psicologico, non può prescindere dal lavorare intensamente, onestamente e profondamente su se stesso.
Ho sperimentato su di me, a partire dai 16 anni, sia tecniche corporee (pilates, yoga, bioenergetica…) che psico/emotive (psicoterapia cognitivo-comportamentale, PNL, psicodramma, psicoterapia dinamica, metamedicina…) che energetiche (Taiji Chuan, Qi gong, il massaggio shiatsu, che si basa sui concetti dell’ MTC -medicina tradizionale cinese-).
In definitiva sperimentavo e realizzavo come su di me funzionassero bene le tecniche che tendevano ad unire gli aspetti corporeo/energetico/psicoemotivi.
E cercavo di far si che tali tecniche e modalità potessero diventare fruibili a più persone, in base alle propensioni e ai bisogni di ognuno.
Penso allo yoga, alle meditazioni attive di Osho (vivetti e lavorai 3 mesi nella più grande comune di Osho d’Europa, quella che si trova in Toscana, a Miasto), al taiji, alla bioenergetica.
Il mio obiettivo era di scoprire il potenziale umano, i modi espressivi e artistici che c’erano negli altri e in me, dare spazio di elaborazione a dinamiche emotive e familiari, decondizionarsi da ciò che si è appreso passivamente, per vivere una vita serena ed in armonia con se stessi, e successivamente di poter lavorare con le persone, cooperando insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune e utile: maggior benessere personale, o diminuzione del malessere, per persone ferite da traumi, sia fisici, necessari di riabilitazione, che mentali, che emozionali. Sono dell’opinione che ogni trauma importante e disagiante per una persona, sia esso fisico od emozionale, meriti di essere considerato, curato, lavorato e possibilmente trasformato.
Più mi addentravo nelle tecniche e sperimentavo, più conoscevo meglio me stesso e gli altri, e più avevo voglia di continuare questo viaggio.
E pian piano, diventando utili e sensate per me, decidevo di lavorarci nel futuro, sia come soggetto che fa un percorso, sia come soggetto che accompagna altre persone, desiderose e/o bisognose di farlo, con un terapeuta formato. Ero convinto che partendo da individui sereni e in armonia con se stessi, si potesse costruire una società più sana.
Questo era il sogno che coltivavo, e che con passione nutrivo….
Con gli anni, la malattia ha iniziato a rubarne piano piano un tassello alla volta, fino a portare via gran parte del mio bagaglio esperienziale, e a non permettermi più di esperire ciò che vivevo con le tecniche acquisite.
Iniziai lavorando come massaggiatore shiatsu, dai 22 anni, fino ad unirlo con la laurea in fisioterapia.
Mi spostai presso uno studio privato a Lugano dove usavamo soprattutto terapie manuali.
Lo studio, il lavoro fisico costante fece però peggiorare i sintomi della malattia, così dopo un anno dovetti fermarmi. Ci furono due diagnosi, 2 operazioni alle anche, non riuscite,
La sfortuna, se così vogliamo chiamarla, volle che il chirurgo lesionasse un muscolo e un nervo nell’operazione, che comportò e comporta tuttora un aumento dei dolori, anzichè una riduzione. E un aumento dell’invalidità.
Avere dei nervi lesionati è piuttosto infernale: il dolore rimane costante, e non si possono riparare, o rigenerare…
Un muscolo lesionato significa provare dolore quando si allunga, o quando si contrae… questi si aggiungevano ai dolori che avevo in precedenza, non risolti dall’operazione.
Provai a continuare a lavorare, ma i risultati erano pessimi. Troppo dolore, iniziavo ad odiare quel lavoro, lo stesso che con passione mi ero costruito, che mi portava troppi stimoli dolorosi. Anche se, dentro, lo amavo. Un forte conflitto.
Pensai cosi su cosa ripiegare, mentre continuavo le ricerche mediche, le cure, le operazioni. Pensai di ricorrere a un lavoro meno fisico, che
avesse una componente primariamente relazionale e mentale.
Con la fotografia funzionavo bene: avevo fatto 3 corsi, e con la mia reflex (canon, per gli intenditori) avevo iniziato a fare foto ad aperitivi e in alcuni locali luganesi, tra cui anche con internations, un’associazione per stranieri che vivono all’estero, da me amata.
Mi dissi confidente che anche quella potesse diventare una strada per me, quantomeno poteva rimanere un’attività collaterale, che poteva crescere.
L’aumentare del dolore costante agli inguini e alla schiena disse invece di no. Un buon fotografo deve sempre adattarsi al soggetto che deve fotografare: le posizioni da mantenere, tra cui quelle inginocchiate, ripiegate, a mezza altezza, dal basso, non potevano essere sopportate. In definitiva. lentamente, settimana dopo settimana, dovetti abbandonare anche l’attività della fotografia.
Con la laurea in Psicologia potevo lavorare come educatore. Trovai lavoro in un Centro diurno di trattamento dell’alcolismo. Cominciai, mi trovai bene e iniziai a sentire che anche quel lavoro poteva fare per me: potevo esprimermi, collaborare e portare qualcosa di buono agli utenti, e anche condividere tanti momenti, tante storie, tante esperienze, tante vite…
Sfortunatamente, anche se il lavoro era meno fisico di quello fisioterapico e dei massaggi shiatsu, esigeva comunque molte attività: sia di pulizia, spostamento materiali, preparazione dei pasti ecc., sia di accompagnamento degli utenti, ovvero gite in montagna, spostamenti con pulmini, attività di laboratorio…. Insomma piano piano anche li i dolori furono troppi, e non riuscii a mantenere il lavoro. Lo perdetti, e capii che per il mio stato di salute anche quello era troppo.
Nel frattempo continuavo a fare visite, terapie, esercizi, percorsi farmacologici… tutti dal risultato nullo, col susseguirsi di mesi e mesi. Desolante.
Mi venne in mente di provare a lavorare con i cani, che ho sempre amato. A Pavia per due anni avevo fatto volontariato in canile, e funzionava. Insieme al mio cane, Chicco, provai a fare un corso di educatore cinofilo. Pensando che, anche con gli animali e i loro curatori (non mi piace descriverli come “proprietari”),avrei potuto sentirmi a mio agio.
La passione e l’entusiasmo c’erano. Però non avevo calcolato un fattore: ad ogni sessione, ti devi chinare verso il cane, per dargli i segnali, per mettere e togliere il guinzaglio, per il rinforzo, per gli esercizi….. Stesse cose devi farle a casa, per allenarti col cane…. totale piegamenti in un giorno; diverse decine…. troppi per me e per i dolori che mi davano…. in più il cane ha bisogno di tanta resistenza a camminare, tanti km. E io pagavo dolori per camminare, quindi non ero più il compagno ideale di un cane…
I dolori aumentavano, gli antidolorifici oppiodi che prendevo facevano poco niente, con effetti collaterali (il più fastidioso il vomito), e dopo un po’ dovetti cedere e capire che non era una strada percorribile, in quelle condizioni. Ancora una volta i dolori e la malattia dicevano di no, rimpicciolivano e determinavano il mio mondo.
Mentre continuavo a ricercare cure, cercai di pensare cosa potevo fare e offrire, limitatamente alle mie possibilità. Come potevo guadagnarmi “la pagnotta”. Nella piena incertezza di non sapere se sarei mai tornato a poter fare il fisioterapista, il massaggiatore shiatsu, o a lavorare in ambiti socio/sanitari, dato che nessun medico mi dava notizie confortanti e rassicuranti. Piuttosto il contrario.
Mi dissi che non sarei stato a fare cure senza impegnarmi in qualcosa, e avere relazione con la società che mi circonda. Iniziai ad offrirmi a prezzi stracciati, per fare ripetizioni.
Tedesco, inglese, matematica…
In passato avevo fatto esperienze di lavoro in un ristorante in Irlanda, e di tirocinio in un ospedale a Berlino. Quelle esperienze mi avevano portato una solida base linguistica, che per i livelli scolastici di base poteva essere utilizzata.
Ci provai. All’inizio furono poche ore strappate qua e là.
Successivamente i ragazzi e le famiglie si trovarono bene, alcuni adulti mi chiesero lezioni di lingua, e il passaparola cominciò a portare molti frutti.
Raggiunsi una media di 4 ore di lezione al giorno in settimana, e 7/8 ore al giorno nei weekend. In pratica mi ero ricostruito un lavoro, quasi full time.
Anche se non era il mio progetto, la mia prima scelta, ciò per cui avevo studiato per anni, e con il rammarico che comportava interrompere le proprie professioni a 28 anni, mi permetteva di sentire che mi stavo sostenendo e che avevo un ruolo sociale ed utile.
Negli anni mi sono accorto che funzionavo bene nei lavori in cui ero in relazione con la gente, e insieme costruivo qualcosa con loro. Era capitato nella fisioterapia, nel settore socio-psicologico ed educativo, nell’animazione in villaggio turistico…
Anche questo lavoro mi dava molto tempo con gli allievi, con le famiglie, o con gli studenti adulti, e la relazione che creavamo era parte stessa del percorso lavorativo
A un certo punto dovetti rifiutare alcune persone, perché ero senza più spazio per loro. Pensai anche di ingrandirmi, e di fare una collaborazione con qualcun’altro.
Sfortunatamente le mie cure continuavano senza successo, le ore di lavoro e lezioni aumentavano, ma la mia capacità di stare seduto, sopportare i dolori, concentrarmi sulle materie e sulla relazione con l’allievo, diventavano sempre più faticose, e sempre meno in quantità.
Tirai a lungo, mesi e mesi, finché piano piano mi accorsi che per avere quei ritmi, normali per una persona qualunque, io dovevo passare il resto delle ore a letto, con dolori a bacino e schiena, irritato, senza più avere energie e capacità di uscire con gli amici, cucinarmi qualcosa, occuparmi di altre cose, di interessi, di passioni. Con costante mal di testa, che mi rovinava il lavoro con lo studente, e che mi accompagnava tutta la giornata.
Iniziai a vivere tra lezioni e letto, per riprendermi dalle ore fatte. Ma capivo che non sarei andato avanti tanto, se le mie condizioni non fossero migliorate. Mi circondavo di cuscini e supporti, ma non riuscivo più a star seduto a mangiare. Evitavo qualsiasi viaggio seduto in auto. Cucinare era doloroso e faticoso. Camminare riuscivo sempre meno..,
I dolori come chiodi alla schiena e alle anche, e il mal di testa costante, stavano decidendo ancora una volta cosa potevo e non potevo fare…
Con rammarico dovetti iniziare a diminuire piano piano le ore di lavoro e gli allievi, sia studenti che adulti.
Le ospedalizzazioni iniziarono a diventare più frequenti e più lunghe. Lentamente il mio scenario cambiava…
E con gli anni, senza vedere mai un miglioramento, ma lenti peggioramenti, si perde energia, si perde progettualità, si perdono gli hobby, le passioni, i viaggi ecc. Non perché non ti piacciano più, ma perché farle causa dolori non più sostenibili…
Si comincia ad avere una vita e una velocità ben diversi da quelli dei coetanei, degli amici, quelli che la società, il lavoro richiedono…
Difficile da capire, vero?
Ho conosciuto gente che ha avuto fortunatamente pochi dolori fisici nella vita, non invalidanti. Nei loro occhi vedo spesso stupore e incredulità davanti a ciò che racconto, al mio vissuto, ai dolori.
Dolori che, anche con le persone più forti e resistenti, diventano coloro che scelgono cosa puoi o non puoi fare.
Il tema non è più ciò che vuoi fare, ciò di cui hai bisogno: il tema è ciò che puoi fare in quel momento, in quel giorno, che troppo spesso non coincide con ciò di cui hai bisogno. Che troppo spesso è associato a dolori e mal di testa.
Una volta dopo ore di attività statica sentivo il bisogno di farmi un’ora o due di camminata veloce, di attività fisica, di bici, di nuoto: mi prendevo il tempo, e le facevo. Punto. Le endorfine entravano in circolo, la mente diventava più lucida e brillante.
Ora sento costantemente il bisogno di fare attività duratura, aerobica, endorfinica, ma non posso più scegliere di fare ciò che ho bisogno, anche se il bisogno rimane presente.
La malattia che progredisce risucchia lentamente e senza sosta in un mondo diverso da quello precedente. E anche i rapporti cambiano, si modificano.
Io ero diventato un uomo diverso. Non ero più il Marco sciatore, il Marco che viaggiava, il Marco che andava in bici, che andava in montagna, che suonava la batteria, che lavorava in ambito sanitario, che ballava, che faceva taiji, che poteva leggere libri e saggi, discutere di svariate tematiche e argomenti, concentrarsi e lavorare…
Diventavo un uomo diverso, in una direzione che evidentemente peggiorava la mia qualità di vita, rimpiccioliva il mio mondo, toglieva possibilità di espressione e passioni, allontanava gli amici. In compenso come beffa, portava dei compagni quotidiani delle giornate: il mal di testa, i dolori e le fitte alle anche, alla schiena, al bacino. Uno scambio decisamente impari e malaugurato.
E tutto questo mentre ancora sei nella fascia dei vent’anni… rendendosi conto che, più tempo passa senza trovare cure, o farmaci funzionanti, e più aumenta la probabilità che non si trovino mai, che forse tu sia destinato a stare così, fino a quando camperai.
E che, insomma, questa vita la si vive una volta sola. E questa opportunità che mi è stata data sembra andare in una direzione che non si vorrebbe, nonostante tutte le mie energie e risorse impiegate in 18 anni per cambiarla.
La medicina è una scienza inesatta, purtroppo. Nei vari mesi in ospedale come paziente, e in quelli come fisioterapista, te ne rendi conto molto bene.
Sperimentarlo su di sé, o su di un proprio caro, rende molto l’idea.
…Poi l’idea di rendere pubblica la mia storia, e di cercare insieme qualcuno o qualcosa, per poter aiutare me stesso, e le altre persone che si trovano in situazioni simili…
Questa ha fatto generare questo sito, ed ha riacceso una speranza, che in me si era spenta sempre di più…
Grazie per la tua presenza e lettura, per il tuo tempo e interesse.
Approfondimento: Cosa vivo nella pratica quotidiana.
Non avevo pensato di scrivere, fino a un po’ di tempo fa, se non per me stesso. Non pensavo di rivolgermi ad altri, mi sembrava un argomento troppo personale, troppo delicato per esporlo al giudizio altrui. Lo tenevo per me e per qualche persona vicina. Mi adoperavo. Facevo le terapie, i ricoveri in ospedale, le operazioni, per diversi anni. e confidavo che prima o poi sarebbe finito, o almeno cambiato, in una direzione positiva.
In generale la malattia e il dolore fisico protratti per decine e decine di mesi portano alla chiusura e al ritiro, più che alla condivisione. Così è stato per me.
E la mia presenza sui social e nelle relazioni negli ultimi 5 anni è stata sempre in diminuzione. Aspettavo tornasse un po’ di sole dopo la tempesta, che non arrivava. Poi ho letto la storia di un ragazzo, con una grave malattia, che è arrivato ad un lieto fine, grazie a un post su Facebook, e all’aiuto dei suoi contatti e delle loro molteplici condivisioni, che gli hanno permesso di raggiungere un medico, che, se no, non avrebbe probabilmente mai trovato. Mi sono stupito della sua potenza. E ho pensato che anche nella mia situazione si debba provare con tutti i mezzi che ci sono a disposizione.
E questo mio racconto può essere una testimonianza. A difesa e a favore di tutti coloro che vivono ed esperiscono situazioni come la mia, o simile. Ce ne sono molte.
Negli anni, con gli svariati ricoveri in ospedale, ne ho conosciuti parecchi. Nascosti, nelle loro case, e poco visibili alla società, proprio perchè la malattia non permette loro di uscire di casa, se non raramente e con dolori e ripercussioni, e spesso non permette di avere una vita lavorativa, dei colleghi, ecc.
Stando ad alcuni medici la diagnosi è stata posta troppo tardi, dopo 12 anni dall’insorgenza dei sintomi: me la diagnosticai io stesso, come fisioterapista.
Non ho avuto la possibilità di trovare prima un medico, o un fisioterapista, che la riconoscesse, nonostante io abbia, negli anni, sempre avuto dolori e sintomi quotidiani: SPONDILOENTESOARTRITE PSORIASICA E IMPINGEMENT FEMOROACETABOLARE ANCA DESTRA E SINISTRA con associati dolori cronici e sensibilizzazione centrale.
Sono considerato un caso raro, poiché non ho risposto positivamente a nessuna terapia finora provata, a nessun farmaco, e la patologia progredisce.
Qualche medico ipotizza che la mia sia una forma rara di qualche malattia, che ha sintomi molto simili a quelle sopraccitate. Sta di fatto che, al momento, rimango senza cura e terapia.
Non avere farmaci antidolorifici funzionanti rende spesso le giornate insopportabili.
Alcuni numeri, che forse permettono di capire meglio la situazione:
- 109 il numero di medici, di specialisti e personale sanitario consultato, sia di medicina tradizionale che alternativa
- 72 i mesi da quando non riesco più a fare i lavori per cui ho studiato e avere pace nella giornata, ripiegando su altri lavori, destinati a essere non più praticabili col passare dei mesi.
- 204 i mesi da quando sono cominciati i primi sintomi e dolori, peggiorati col passare del tempo. I mesi in cui condivido la giornata, senza minuti esclusi o di bonus, con il dolore fisico e le sue conseguenze a livello di concentrazione, umore, relazione con la famiglia e con gli amici, possibilità di lavorare, di viaggiare, di agire nel mondo
- 7 i mesi totali di ricovero in ospedale
- 4 le operazioni chirurgiche effettuate, senza benefici
- 29 i tipi di farmaci provati per contenere i dolori
- 32 le infiltrazioni di anestetico provate e riprovate
- 5 le volte che ho perso un lavoro a causa della malattia
- 2 le lauree prese combattendo contro i dolori e sperando che mi avrebbero, prima o poi, lasciato in pace.
- migliaia di ore di esercizi di fisioterapia quotidiani a casa, senza miglioramenti.
- Decine di migliaia di euro spesi, perché le cure e le terapie in giro per ospedali e studi medici si pagano, anche se non portano gli effetti desiderati.
Da 6 anni ho dolori intensi e costanti: dei chiodi che mi premono a livello delle anche, del bacino, degli inguini, della schiena e di un ginocchio. E sopportando per tante ore questi dolori, si associa costantemente un mal di testa invalidante. Sebbene tutto sia cominciato 18 anni fa.
Dopo anni di sedute di fisioterapia, osteopatia, chiropratica, shiatsu, body alignement,centri di terapia del dolore, centri reumatologici e numerose altre terapie, ho ricevuto 4 operazioni, ma nessuna ha portato benefici. Le ultime due operazioni sono state fatte nel 2015.
La sfortuna, se così vogliamo chiamarla, ha fatto si che in una operazione mi venissero lesionati un nervo ed un muscolo, nonostante che per un anno e mezzo il chirurgo lo continuasse a negare, per poi cedere, ammettendo il danno da lui causato…
Questo ha portato a un peggioramento della sintomatologia e dei dolori.
Ho lavorato per tenere sotto controllo i sintomi, con centinaia di ore yoga, di pilates, di meditazione, di visualizzazione, di PNL, di ipnosi eriksoniana, di ipnosi regressiva, di esercizi, di trattamenti energetici… Ma col passare del tempo la loro utilità è diventata sempre minore, fino a renderle non più praticabili.
Per esempio, ora, fare yoga e pilates, nuoto in acqua, aumenta i sintomi e l’irritabilità.
La stessa attività della meditazione, che i primi anni dava buoni effetti ed era diventata una routine, è cambiata nel tempo. Quando il dolore che percepisci aumenta sempre più, a quel punto non riesci più ad accedere a uno stato meditativo, proprio a causa del disturbo eccessivo che lo stimolo nocicettivo invia al cervello. Non riesci più a mantenere una posizione. E non ne trai più beneficio.
Ho visto tanta pubblicità su quanto la meditazione, la mindfulness, il training autogeno possano aiutare in casi di dolore cronico. Le ho provate tantissimo, assetato e bisognoso di poterne trarne effetti utili.
Chi sperimenta metodi per migliorare da una situazione di dolore, ha molto da investire in quei metodi: ci si mette con anima e corpo.
Beh, io dico che nel mio caso, con la testimonianza di anni di pratica, non hanno portato i millantati effetti.
Posso invece testimoniare che hanno una buona efficacia, e le consiglio, a persone in salute, o con sintomi dolorosi lievi, o con disturbi di stress, ansia, disagio. Questo è da valorizzare, anche se non era ciò che cercavo.
Sono tornato da 8 settimane di terapia in ospedale, che purtroppo non hanno portato i miglioramenti sperati. Ed ormai, ho potuto accedere solo a terapie sperimentali, dai possibili risultati incerti. Da 60 mesi, per il crollo di salute e dolori costanti, ho dovuto lasciare il mio lavoro, i miei lavori, e provare a reinventarmi 4 volte.
Lasciare le professioni per le quali avevo studiato e per cui mi ero formato. Quelle che ho amato: la psicologia e la fisioterapia. Lo shiatsu. L’educazione in comunità. L’animazione e l’intrattenimento. Il dog sitter e il baby sitter. Diminuire le ore sempre di più, fino a farne 2-3 al giorno. E poi arrivare a rinunciare anche a quelle, non essendo più in grado di sostenerle. Ritrovarsi a non riuscire più a badare al proprio cane. Lo stesso che ho sempre amato. Perchè per averlo, devi camminare e chinarti troppe volte, in un giorno. Tutti i giorni.
Ho vissuto ciò che vuol dire peggiorare lentamente. Di mese in mese. Senza che dall’esterno sia però cosi visibile, credibile, notabile e palpabile. Così lentamente, che la famiglia e gli amici che ti stanno vicino non lo avvertono, succede col passare di giorni, mesi, anni.
Ma estremamente chiaro per te che lo vivi ogni giorno, consapevole e preoccupante. Preoccupante, perché capisci che insieme porta molteplici problematiche e ripercussioni: dolore, impossibilità a fare sport, a concentrarsi sui libri, abbattimento di progetti e ambizioni, impedimento a viaggi, esperienze con amici, lento allontanamento dalle attività dei tuoi coetanei. Inoltre perchè capisci che non riuscirai a realizzare molto nella vita, mentre sei occupato a gestire dolori e ripercussioni.
E lentamente anche ciò che ti faceva stare bene, come una cena con gli amici, diventa non più piacevole, perchè con dolori che ti rimbombano tra schiena, gambe e cervello.
Inoltre incomprensione e incredulità da parte della famiglia e di chi ti sta vicino, perché i primi anni, senza diagnosi chiare, vieni spesso frainteso per essere depresso, pigro, lazzarone, insoddisfatto della vita, lamentoso.
Sembra “strano” che tu abbia dolore ogni giorno, e che questo non si risolva, e continui così a lungo. E porti alla famiglia quello che viene sentito come un “problema poco gestibile”. E finchè non vieni creduto, non ricevi neanche aiuto.
Non è bello perdere la propria libertà, non poter piu far vincere la propria volontà, in un paese europeo, nella nostra epoca: volontà di muoversi, di fare, di viaggiare, di vivere. In questo periodo, data la pandemia, anche altre persone hanno dovuto stare a casa rinunciarvi, e possono capire, in parte, ciò che si prova quando si è malati.
Questo fa sentire le persone nella mia situazione un pò meno sole. Perché non si è più gli unici obbligati a rimanere a casa contro la propria volontà, che devono rinunciare a ciò che farebbero, a ciò di cui hanno bisogno, a ciò che li fa stare bene. Per esempio nel mio caso il covid ha portato poca variazione alla routine quotidiana: passare dal letto al divano in casa era già la mia routine.
La quarantena non è bella. Ancora meno, se già da mesi e anni si sta combattendo, ogni giorno, con dolori costanti e mal di testa ininterrotto, che non permettono di leggere un libro, di studiare, di essere concentrati, di passeggiare liberamente, di eseguire un lavoro. che rendono doloroso vestirsi, mangiare, lavarsi, stare seduto, e anche stare sdraiato…
La storia però è cominciata molto prima, quando già all’età di 15 anni dovetti abbandonare le partite a calcio con gli amici, la squadra, gli allenamenti, i compagni di calcio. Lo sci e le piste innevate. La bicicletta e i trekking in montagna. E tutte le splendide sensazioni connesse a queste attività nella natura, in compagnia di buoni amici. Cominciai a lottare al liceo stando seduto con dolori poco sopportabili al bacino, agli inguini, alla zona lombosacrale. Come chiodi che premevano incessantemente nel bacino e nella schiena. E nell’età dello studio superiore e universitario si sta seduti anche 8 ore al giorno…. Ad aver male ad ogni ora la situazione diventa faticosa, a dir poco.
All’epoca, il dover rinunciare agli sfoghi, alle attività sportive, alla squadra, agli amici connessi a queste attività, che per me erano erano come una famiglia, e vedere che di pari passo le prestazioni scolastiche e di concentrazione peggioravano, mi causarono una crisi.
Stare seduto e cercare di concentrarsi diventava una sfida, ogni volta, ogni giorno.
Ho avuto un padre molto legato alla concretezza, al lavoro pratico, manuale, che voleva vedere un figlio maschio e giovane avere energie per conquistare il mondo. In questo senso non mi è stato d’aiuto, perchè la malattia mi rendeva un maschio anomalo. Pochi sforzi, infinite fisioterapie e visite, difficoltà nelle questioni manuali…
Lottavo, ma la guerra che combattevo non la vedeva e riconosceva nessuno all’esterno, troppo lenta e nascosta, invisibile, per gli altri, e rimaneva una guerra personale, solitaria, e destinata con gli anni a prosciugare le mie forze, il mio entusiasmo, le mie risorse.
Antiinfiammatori e antidolorifici sono inefficaci dopo i primi mesi. Morfina, Fentanyl, Palladone e morfinosimili portano tanti effetti collaterali, tra cui vomito, e irrisori cambiamenti. In uno dei centri del dolore in cui sono stato ricoverato a Berna, per 40 giorni, mi dicono che non ci sono altri farmaci che posso provare, e che non sanno cosa fare, con me, come con tanti altri in situazioni simili alla mia.
Vivere in queste condizioni significa svegliarsi la mattina nel letto e sentire che il limite di sopportazione della giornata è già superato… ma in teoria devi ancora vivere le restanti ore. Rimbalzando in continuazione tra posizione seduta e sdraiata. Perché seduto i dolori aumentano troppo. Da sdraiato sono (un po’) più sopportabili.
E la vita ti mostra, fuori dalla finestra, che i tuoi amici, i tuoi coetanei, possono, e riescono a, lavorare 8 ore, rimanere concentrati, fare sport, uscire e dormire 7/8 ore. Questo gli è possibile e sufficiente. Impossibile quando combatti una guerra con una malattia di questo tipo.
Certo mi sono fermato a guardarmi attorno e riflettere. In questa Terra c’è molta gente in condizioni simili o peggiori. Che è più limitata, che non ha accesso a strutture sanitarie. E che pagherebbe per avere i miei dolori, ma poter almeno camminare. Ne sono consapevole.
Ad ogni modo, per chiarire equivoci, non sto parlando di fastidi, come talvolta vengono interpretati. Non sto parlando di dolori sopportabili, mentre lavori 5 o 6 ore al giorno.
Parlo di dolori che costringono, (e se no non l’avrei mai permesso) mese dopo mese, ad abbandonare ciò che ami ed amavi nella vita. Ciò che dava senso ed entusiasmo. E ciò che si è costruito con anni di studi, impegno, passione ed esperienze. Il lavoro come fisioterapista e massaggiatore shiatsu. Il lavoro in ambito psicologico. Quello in ambito educativo in comunità. Il calcio. La montagna. Lo sci. I viaggi. La bici. La moto. L’animazione in villaggio vacanze. Il cabaret. La batteria. Le serate a ballare latino americano. Il viaggiare per piacere con amici, o da solo. Usare l’auto. La possibilità di leggere un libro, avere una conversazione, o guardare un film, senza avere dolori che rimbombano tra bacino, schiena e cervello e che inquinano e distruggono anche le esperienze che dovrebbero essere piacevoli. Quelle che ricordi che ti davano piacere. E che una volta svolgevi in maniera naturale. E senza che l’umore, prima o dopo, ne venga inevitabilmente e significativamente compromesso.
Vero, difficile da comprendere per chi non lo vive, o per chi lo vive per qualche giorno all’anno, e poi torna alla “normalità”. Per un po’ di mesi, per qualche anno, si può sopportare. Gli esseri umani possono sopportare tanto. Ma non per sempre, hanno dei limiti, prima o poi.
E’ una qualità di vita travagliata, per l’età in questione. Ho amato e difeso la vita, in tante sue forme. Ma in certi casi la mia opinione cambia. E questa esperienza me ne conferma l’insopportabilità, a lungo termine.
Tempo fa mi sono iscritto ad un’ associazione che accompagna malati terminali o non più curabili ad una morte assistita, quando le sofferenze quotidiane causate dalla malattia in termini di dolori sono troppo intense, invalidanti, persistenti e resistenti, e giustificate da referti medici che ne confermano la non possibilità di modificarsi.
I primi anni sembra una cosa lontana, da evitare, che non ti riguarderà. Poi piano piano l’impossibilità di trovare soluzioni e miglioramenti ti porta a considerarla come opzione, che in fin dei conti potrebbe aiutarti, a dare finalmente una tregua ai dolori fisici.
Possano questo appello e questo progetto far si che non ce ne sia bisogno.
Negli anni si vivono diversi lutti: il lutto del Marco fisioterapista, del Marco psicologo, del Marco che andava in bici, del marco sciatore, del marco batterista, del marco che faceva meditazione, del marco che viaggiava, del marco giocava per terra coi bambini, o col proprio cane…. e potrei elencarne ancora molti altri…. Tutti questi lutti sommati gli uni agli altri ti allontanano già dalla vita e ti fanno sentire che tanto di te stesso è già morto: simbolicamente rimangono pochi Marco attivi e gradevoli.
Non sono l’unico. Ci sono tante persone, tra cui tanti giovani, che provano qualcosa di simile, e che lo possono confermare. Che questa storia riguardi me, oppure un’altra persona, la trovo ingiusta. E meritevole di essere cambiata. Di dargli questa chance sociale.
Ho conosciuto persone che non credono alle mie parole. Ne sono abituato, ne ho conosciute. Credono forse che io cerchi attenzioni, e che il ruolo di vittima le possa sollevare. Vi tolgo dall’empasse. Non ho bisogno di gente che mette in dubbio ciò che verbalizzo. Non mi giocherei la credibilità per cosi poco, se non ne fosse il caso. E non a questi livelli di risonanza.
Alcune giornate esco di casa e vedo qualche conoscente. In quel piccolo frangente di tempo in cui interagisco con l’esterno, mi sforzo di sopportare di resistere ai dolori, di conversare, di muovermi. E c’è gente che vedendomi così e parlando con me non può capire che io abbia delle difficoltà, in quel momento, degli stimoli che inquinano il cervello. La realtà consiste nell’aver dolore in diverse parti del corpo mentre si parla, si cammina, si siede, si mangia, si legge, ci si lava, si aspetta il bus, si fa qualsiasi attività quotidiana, quelle che ancora si possono fare.
Sorridere non significa non avere più dolore. Significa cercare di sorridere, nonostante il sentire dolore in continuazione. Per quei momenti in cui riesci.
Per il resto del tempo la necessità è di stare sdraiati il più possibile. Senza stimoli sonori o luminosi. E va da sé che coltivare le relazioni stando in stanza non è facile ed efficace, quando le altre persone vivono normalmente. Da anni mi capita di sentirmi dire “Non ti ho più visto in giro”, perché in effetti puoi stare in giro molto meno e facendo meno cose. Ma non è più una scelta. E’ una necessità. E non è per il coronavirus, ma lo è da mesi e anni prima.
Per gli amici tutto ciò è una sfida complessa: questo perchè alcuni non credono e non capiscono ciò che cerco di descrivere con le parole. Alcuni si allontanano. Alcuni vorrebbero avvicinarsi. Alcuni capiscono e provano a stare vicino, ma dopo anni di “tentativi” e di incomprensioni.
Ciò che rimane prezioso e indispensabile è il loro affetto, che alcuni di loro mi sanno offrire, quando resistono e portano pazienza, quando credono a ciò che descrivo, quando passano del tempo e chiaccherano inseme, anche quando non sono molto performante, produttivo ed entusiasta.
Allo stato attuale, diversi medici mi dicono di convivere coi dolori, accettare che non posso usare farmaci che mi aiutino, rinunciare al lavoro, alle mie passioni. Alzano le mani, dicendo che la medicina purtroppo è limitata, e che su certi dolori oggi, nel 2021, non si sa ancora cosa poter fare. Rimango e sono rimasto di stucco diverse volte, pensando ciò che l’uomo ha saputo e sa fare in certi campi. 50 anni fa la società umana ha inviato tre persone sulla Luna, che hanno raggiunto l’obiettivo. E sono tornate. Vive. Tutte e tre. Oggi, nel 2021 l’uomo non riesce a togliere i dolori a decine di migliaia di persone che soffrono di dolori fisici e che inevitabilmente deteriorano la psiche e le emozioni e la vita in generale. Che affliggono i familiari, impotenti. E gli amici.
Poi, grazie alla storia del ragazzo di cui vi accennavo sopra, ho compreso che se c’è una strada che ancora non ho provato, forse l’unica, è di rendere pubblica la mia storia.
L’obiettivo di questo sito e del post che ho messo sui social è di muovere contatti. Rendere questa problematica nota a medici e personale sanitario. Fino a forse raggiungere qualcuno con problemi simili ai miei o con delle soluzioni che io non sono più in grado di trovare. O persone che hanno rilevanza e possibilità in termini di aiuto e ricerca medica. Utilizzare al meglio possibile questo strumento e verificare ciò che può portare.
In base a come starò, scriverò e posterò degli aggiornamenti su come procede, qui su questo sito.
GRAZIE per la tua visita, per il tuo interesse, per la tua collaborazione e per la tua presenza.
Insieme alle altre, conta anche la tua, e si aggiunge alla mia storia.
Grazie per aiutarmi a combattere, per trovare contatti, e offrire, a me, cosi come ad altri che stanno in queste condizioni, una possibilità in più di speranza.
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